Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) prevede 1,1 miliardi di euro per supportare nuova capacità produttiva da impianti agrivoltaici di almeno 1,04 GW. Alcuni esperti hanno criticato la misura sostenendo che i fondi siano troppi per una capacità troppo ridotta. Questo potrebbe suggerire che l’agrivoltaico è molto costoso, derubricandolo come priorità e diminuendo la probabilità che nuovi fondi verranno allocati, soprattutto in un momento di vacche magre.
ENEA spiega che i fondi destinati dal PNRR all’agrivoltaico sono giustificati dal fatto che dovranno essere elaborate delle soluzioni innovative. “Queste, specialmente in una prima fase di diffusione della tecnologia, sono per loro natura più costose di soluzioni standard, e questo giustifica la dimensione dell’investimento. Certo, sarebbe opportuno che le soluzioni fossero effettivamente innovative, e cioè spaziassero nella sperimentazione con diverse configurazioni spaziali e tecnologiche, includendo l’impiego di componenti (moduli fotovoltaici, strutture di supporto, inverter, sistemi di monitoraggio) disegnati o adattati alle specifiche esigenze del progetto”, dice Alessandra Scognamiglio, coordinatrice della task force sull’agrivoltaico sostenibile presso l’agenzia di ricerca italiana ENEA.
I dubbi rimangono, ma è certo che le lentezze normative stanno creando ulteriore complessità. Almeno tre i contributi necessari, ancora mancanti.
“Si attendeva una revisione delle Linee Guida del Ministero della Transizione Ecologica (ora MASE) che prendesse spunto dalle osservazioni arrivate. Purtroppo ad oggi tale revisione non è stata prodotta, siamo ancora in attesa del decreto attuativo, e delle indicazioni per il monitoraggio a cura del CREA e del GSE. Inoltre, il recente D. L. 24 febbraio 2023, n. 13, pubblicato in GU serie generale n. 47 del 24.02.2023, all’art. 49 punto 3, che riguarda la previsione di semplificazioni per l’agrivoltaico, non è coerente con le definizioni normative finora proposte”, dice Scognamiglio a pv magazine.
ENEA, ente pubblico di ricerca italiano vigilato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, richiede un quadro normativo e legislativo di riferimento chiaro e coerente, in cui tutte le novità normative non si discostino da standard già definiti.
Secondo Scognamiglio, il testo del decreto Semplificazioni, sebbene positivo nel suo impianto concettuale, sembra non coerente con la definizione dell’agrivoltaico data già dalle Linee guida dello scorso giugno. “Non c’è una evoluzione lineare, e non c’è un approfondimento di temi che sono in discussione già da oltre un anno. In questo quadro è difficile come saranno armonizzati i diversi sforzi. La soluzione è quella di legare il decreto Semplificazioni con quanto già definito in campo normativo”.
La ricercatrice dell’ENEA, che ricopre diverse cariche istituzionali, spiega che la promozione dell’agrivoltaico non può implicare la semplificazione di qualsiasi intervento di fotovoltaico in area agricola. In questo momento, dopo una “corsa folle verso l’agrivoltaico in assenza di regole”, il rischio potrebbe essere un’accelerazione brusca non concertata e ponderata, che rischierebbe di ledere il potenziale di innovazione dell’agrivoltaico, che porta valore alla trasformazione del territorio solo se attuato in un quadro in cui le dimensioni energia, agricoltura e paesaggio sono legate da un progetto di qualità.
Questo potrebbe portare anche a opposizioni locali, come già dimostrato dal boom del solare in Puglia due decenni fa.
“Mi immagino, e soprattutto mi auspico, che il quadro normativo entro la fine dell’anno sarà definito. Non sarà comunque sufficiente per la qualità dei sistemi, perché parliamo sempre di requisiti minimi”, Scognamiglio dice. “La valenza ecologica dell’agrivoltaico può andare ben oltre il richiesto soddisfacimento del requisito di garantire la continuità delle attività agricole, contribuendo, ad esempio, a mantenere o aumentare la biodiversità del suolo grazie a delle configurazioni dinamiche degli ombreggiamenti”.
Secondo Scognamiglio, un ulteriore attributo, non intrinseco nella definizione di agrivoltaico, è quello di mantenere o aumentare la biodiversità del suolo. La ricercatrice sottolinea comunque che il progetto agrivoltaico, per definizione, deve aggiungere valore al suolo. In questo caso, il valore aggiunto deve essere condiviso tra diversi portatori d’interesse.
Scognamiglio, anche Presidente dell’Associazione Italiana Agrivoltaico Sostenibile (AIAS), spiega che gli effetti negativi sono dietro l’angolo, soprattutto in assenza di una buona regia: l’agricoltore potrebbe perdere sovranità sul proprio terreno affittata a una società energetica. In caso di grandi terreni, possibile anche un effetto negativo sul paesaggio. Da non dimenticare poi l’aumento dei prezzi degli affitti di terreni agricoli.
AIAS sta lavorando a una certificazione volontaria per i prodotti, e gli impianti, le cui tempistiche non saranno immediate, poiché questo obiettivo si basa su un lavoro collettivo di ricerca su base volontaria, concordato tra gli operatori del settore e gli organismi di ricerca.
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