Che fine fanno i pannelli fotovoltaici alla fine del loro ciclo produttivo? Spesso è una delle domande che si sentono rivolgere ricercatori ed esperti del settore delle energie rinnovabili. Cerchiamo qui di dare una risposta inquadrando il problema in un contesto generale e di dare un po’ di numeri per capire meglio come uno “scarto” possa diventare una risorsa.
L’industria del fotovoltaico è in piena espansione. A fine 2022 siamo giunti a 1.000 GW di capacità cumulata istallata a livello mondiale e per il 2050 è atteso un valore intorno ai 4.500 GW. In Italia il 2022 si è chiuso con un valore cumulativo di 25,048 GW (+12% sul 2021).
Con l’aumentare del mercato fotovoltaico globale, aumenta anche il volume di pannelli fotovoltaici da riciclare. Data una durata media del pannello di 25-30 anni, una grande quantità di moduli (circa 1,7-8 milioni di tonnellate) saranno dismessi già entro il 2030 con una previsione entro il 2050 di circa 60-78 milioni di tonnellate; per l’Europa le previsioni sono di circa 10 milioni di tonnellate.
Il modulo fotovoltaico è costituito principalmente da alluminio e vetro, che rappresentano l’80% in peso dei componenti, mentre il resto è composto materiali critici e preziosi come silicio, argento, rame, indio ecc. La maggior parte delle pratiche di riciclaggio attuali si basano su processi di triturazione, i cosiddetti approcci “down-cycling”. I componenti esterni come il telaio e scatola di giunzione sono facilmente riciclati, mentre la frazione di vetro viene reimpiegata in filiere a basso valore economico. I polimeri degli strati sigillanti e il backsheet vengono recuperati nella migliore delle ipotesi sotto forma di produzione di calore, ma per lo più in discarica. I metalli, infine, difficilmente vengono recuperati nella loro forma iniziale perché rimangono contaminati dalle matrici inglobanti. Questi tipi di processi portano alla perdita di metalli preziosi e critici. Spesso si sostiene che la quantità di questi metalli è troppo piccola in percentuale per essere considerata una attività economicamente conveniente, ma questo non dovrebbe essere un argomento qualificante quando si parla di milioni tonnellate di rifiuti. Anche se il quadro normativo in Europa, direttiva RAEE 2012/19/UE, ha reso obbligatorio il riciclaggio dei dispositivi fotovoltaici, le pratiche attuali non sono soddisfacenti.
Allo stato attuale, quindi, necessitano nuove tecnologie in grado di separare efficacemente tutti i materiali contenuti all’interno di un modulo ed avviarli ad un ciclo di recupero, in cui i metalli preziosi e critici possano essere reimmessi nel ciclo produttivo come materie prime secondarie, il cosiddetto “up-cycling”. In questa prospettiva si avvierebbe un ciclo virtuoso in cui la circolarità dell’economia in campo fotovoltaico permetterebbe un notevole risparmio in termini di importazioni di materie prime, soprattutto in Europa dove l’approvvigionamento delle stesse è reso sempre più problematico anche alla luce degli attuali accadimenti geopolitici.
In questo contesto è nato il progetto europeo Photorama, un programma di ricerca e sviluppo finanziato dalla commissione europea, il cui obiettivo principale è quello di costruire una linea pilota, con una capacità iniziale di 1200 tonnellate all’anno, per separare le celle fotovoltaiche da tutto il resto del modulo e potere accedere direttamente al riciclo dei metalli preziosi in esse contenuti. I metalli vengono recuperati in una percentuale di oltre il 98% in peso ed una purezza di oltre il 99%. Il progetto è implementato da primarie aziende e centri di ricerca europei tra cui, per l’Italia, l’ENEA che si occupa dell’eco-design del modulo, cioè di progettare un modulo facilmente riciclabile a fine vita in tutte le sue parti.
Con queste enormi prospettive di sviluppo nel campo del fotovoltaico è importante iniziare a pensare in modo globale e circolare, non solo verso la produzione di energia ma anche su tutta la filiera industriale. La prospettiva di una ripresa verde dopo la pandemia di Covid-19 richiede soluzioni solide e resilienti per sviluppare industrie sostenibili che tengano conto della crescita economica, dei benefici ambientali e dell’accettazione sociale.
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