Il percorso dell’Italia verso un mix energetico sostenibile non sembra includere il nucleare, almeno nel prossimo futuro.
Sebbene l’energia nucleare abbia il potenziale per sostenere una solida strategia elettrica a basse emissioni di carbonio, la ferma opposizione dell’Italia alla tecnologia nucleare, espressa in un referendum del 2011 in cui il 95% degli elettori l’ha respinta, costituisce un ostacolo significativo. Scavando più a fondo nel passato, è possibile ricordare le veementi proteste che hanno caratterizzato i primi anni 2000 e che si sono concentrate sulla costruzione di un sito di stoccaggio di scorie nucleari a Scanzano Jonico, in Basilicata. Quegli eventi sottolinearono nel complesso la radicata apprensione dell’opinione pubblica italiana nei confronti dell’energia nucleare.
Anche mettendo da parte il sentimento pubblico, l’energia nucleare è tutt’altro che semplice da realizzare. La costruzione di un impianto nucleare è un processo lungo, che dura dai 7 ai 15 anni, dipende da variabili quali le dimensioni e la tecnologia ed è accompagnato da un prezzo considerevole, attualmente stimato in circa 15 miliardi di dollari per gigawatt di capacità di generazione.
Allo stato attuale, appare estremamente improbabile che un nuovo impianto nucleare messo in funzione oggi possa rispettare la scadenza della politica climatica del 2030, basandosi esclusivamente sulle tempistiche di costruzione. Se si considera il tempo necessario per una campagna di educazione nazionale che modifichi la percezione negativa del nucleare da parte dell’opinione pubblica, per superare gli intricati ostacoli italiani in materia di pianificazione e permessi e per tenere conto dei potenziali ritardi nella costruzione, la prospettiva di una nuova centrale nucleare operativa entro la significativa scadenza dell’economia netta zero del 2050 inizia a svanire. I precedenti dell’Italia di fallimenti nella realizzazione di progetti ambiziosi, come il famigerato Ponte sullo Stretto di Messina, sottolineano questo schema.
Dubbio degli investitori
Gli annunci pre-elettorali di Salvini sul nucleare hanno purtroppo creato ulteriore incertezza in un mercato già pieno di rischi per i potenziali investitori nelle energie rinnovabili. L’Italia ha un processo di autorizzazione estremamente opaco che ha portato a tempi di attesa storicamente lunghi per gli sviluppatori e, recentemente, a tassi di approvazione molto bassi. Nel 2022, meno dell’1% dei parchi solari ha ricevuto il permesso di costruire, con un arretrato di 1.364 progetti di energie rinnovabili in attesa di valutazione nel Paese.
Per raggiungere gli obiettivi climatici del 2030, l’Italia deve installare fino a quella data non meno di 10 GW di capacità di generazione di energia pulita all’anno, di cui la maggior parte dovrebbe essere solare. L’anno scorso il Paese ha installato 3,04 GW di energia solare.
Il deficit deriva principalmente dalla complessa stratificazione di normative locali, regionali e nazionali, che differiscono da città a città e da regione a regione. A livello nazionale, i criteri applicati per i processi di autorizzazione sono incoerenti e i permessi sono spesso negati per motivi esoterici – un esempio notevole è stato l’impianto fotovoltaico da 30 MW nelle Marche che è stato bloccato a causa delle preoccupazioni sull’impatto che avrebbe avuto sull’industria agricola della zona.
Negli ultimi anni, il governo ha introdotto una serie di norme volte a semplificare il processo di autorizzazione per il solare. Queste si sono spinte fino a consentire la costruzione di impianti solari su miniere e discariche bonificate senza bisogno di permessi – terreni classificati come “edilizia libera”. In Italia, tuttavia, vi è una notevole carenza di siti di questo tipo. Secondo l’esperienza professionale di Terawatt, un gran numero di questi siti non sono stati adeguatamente sigillati e bonificati e richiederebbero ingenti investimenti di capitale (e un processo lungo anni) prima di poter installare qualsiasi pannello solare. Ciò rende la semplificazione del permesso di edilizia libera di scarsa rilevanza nel grande schema della transizione energetica, a causa del suo basso impatto potenziale. Semplificazioni simili, che consentono l’utilizzo di procedure leggermente più snelle, sono state applicate ad altre categorie di terreni.
Terreni agricoli
In pratica, però, non è stata applicata alcuna semplificazione dei permessi per il solare utility-scale costruito su terreni agricoli, a differenza degli impianti agrivoltaici, che hanno ricevuto procedure autorizzative più snelle. È importante notare che, se l’obiettivo italiano al 2030 di 130 GW di capacità installata di energia rinnovabile dovesse essere raggiunto esclusivamente con il solare, sarebbero necessari circa 200.000 ettari di terreno. La superficie agricola totale dell’Italia è di circa 12,8 milioni di ettari. Per questo motivo, il potenziale più significativo per l’installazione del solare in Italia risiede nella riconversione dei terreni agricoli, che potrebbe essere ottenuta installando il solare tradizionale su scala utility fino a raggiungere l’obiettivo senza intaccare in modo sostanziale i terreni disponibili per l’agricoltura.
Ciò che manca in modo evidente nella strategia di transizione energetica dell’Italia, per raggiungere l’obiettivo del 2030, è un insieme coeso di normative nazionali chiare e intricate, allineate agli obiettivi europei di decarbonizzazione. Tali norme dovrebbero disciplinare efficacemente il processo di autorizzazione delle fonti rinnovabili, offrendo criteri trasparenti e tempistiche definite. La chiarezza normativa è fondamentale per infondere la necessaria certezza nel mercato dell’energia, che si sforza di raggiungere una tappa cruciale nel percorso di transizione energetica dell’Italia.
Informazioni sull’autore: Patrick Donati è un imprenditore delle energie rinnovabili ed esperto di tecnologie verdi e sviluppo sostenibile. È fondatore e amministratore delegato di Terrawatt, un IPP attivo in Italia.
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