La Corte di Strasburgo condanna la Svizzera perché “l’inazione climatica viola i diritti dell’uomo”

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La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso martedì una sentenza rivoluzionaria: nel caso “Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro la Svizzera” (ricorso n. 53600/20), la Corte di Strasburgo ha stabilito, con una maggioranza di sedici voti contro uno, che vi è stata una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il caso riguardava una denuncia presentata da quattro donne e da un’associazione svizzera, Verein KlimaSeniorinnenSchweiz, i cui membri sono donne anziane preoccupate per le conseguenze del riscaldamento globale sulle loro condizioni di vita e di salute. Esse ritengono che le autorità svizzere non stiano adottando misure sufficienti, nonostante gli obblighi derivanti dalla Convenzione, per mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

La Corte ha stabilito che l’articolo 8 della Convenzione include il diritto a una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita. La Corte afferma che, nonostante il fatto che le autorità nazionali godano di un’ampia discrezionalità in relazione all’attuazione della legislazione e delle misure, “non hanno agito in modo tempestivo e adeguato per elaborare, sviluppare e attuare la legislazione e le misure pertinenti nel caso in questione”. Inoltre, “non hanno preso in considerazione le convincenti prove scientifiche relative al cambiamento climatico e non hanno preso sul serio i reclami”. Il tribunale sottolinea inoltre che i tribunali svizzeri a cui si erano rivolti in precedenza non avevano fornito ragioni convincenti per cui avevano ritenuto superfluo esaminare il merito delle denunce dell’associazione ricorrente.

La decisione della Corte

La Corte osserva che poteva affrontare le questioni derivanti dal cambiamento climatico solo nei limiti dell’esercizio della sua giurisdizione ai sensi dell’articolo 19, che consiste nel garantire il rispetto degli impegni assunti dalle Alte Parti contraenti della Convenzione e dei suoi Protocolli.

Allo stesso tempo, ha tenuto conto del fatto che un’azione inadeguata da parte degli Stati per combattere i cambiamenti climatici aggrava i rischi di conseguenze dannose e le conseguenti minacce al godimento dei diritti umani, minacce già riconosciute dai governi di tutto il mondo.

“La situazione attuale comportava quindi condizioni impellenti, confermate dalle conoscenze scientifiche, che la Corte non poteva ignorare nel suo ruolo di organo giudiziario incaricato di far rispettare i diritti umani”.

La Corte ha constatato che “esistono prove sufficientemente affidabili dell’esistenza dei cambiamenti climatici di origine antropica, che essi rappresentano una grave minaccia attuale e futura per il godimento dei diritti umani garantiti dalla Convenzione, che gli Stati ne sono consapevoli e sono in grado di adottare misure per affrontarli efficacemente, che si prevede una riduzione dei rischi rilevanti se l’aumento della temperatura si limita a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e se si adottano misure urgenti”.

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