Uno studio, pubblicato sulla rivista ACS Energy Letters ha dimostrato che è possibile migliorare le prestazioni delle celle solari semitrasparenti a perovskite “manipolando” l’interazione della luce in elettrodi trasparenti.
La ricerca è stata condotta dall’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce (Cnr-Nanotec) e dal Dipartimento di matematica e fisica “Ennio de Giorgi” dell’Università del Salento, in collaborazione con altre istituzioni di ricerca tra cui l’Università Jaume I di Castellón de La Plana e l’Università Statale di Campinas.
pv magazine Italia ha intervistato il responsabile dello studio, l’Ing. Marco Mazzeo, docente di fisica sperimentale della materia all’Università del Salento e ricercatore presso il Cnr-Nanotec. “pv magazine Italia ha intervistato il responsabile dello studio, l’Ing. Marco Mazzeo, docente di fisica sperimentale della materia all’Università del Salento e ricercatore presso il Cnr-Nanotec.
Qual è l’obiettivo principale dello studio?
La nostra civiltà si fonda sull’uso di grandi quantità di energia prelevata da combustibili fossili. E’ grazie ad essi che abbiamo prodotto benessere dal secondo dopoguerra ad oggi. Tuttavia, anche quando bruciamo combustibili fossili in realtà stiamo liberando energia solare intrappolata dalle piante centinaia di migliaia di anni fa sotto forma di energia chimica. Noi la liberiamo per poi trasformarla ad esempio in una forma di energia ubiquitaria: l’energia elettrica. I dispositivi fotovoltaici invece intrappolano la luce solare per produrre direttamente elettricità senza passaggi intermedi. Tuttavia, una volta prodotta nei grandi parchi fotovoltaici, l’energia elettrica deve comunque essere trasportata a chilometri di distanza laddove andrà utilizzata, nelle varie utenze, il che è’ assurdo. Sarebbe infatti come se le piante, che usano il processo di fotosintesi, avessero le foglie a chilometri di distanza dal fusto. Riuscire a intrappolare la luce solare e usarla direttamente sul posto, proprio come fanno le piante, è evidentemente una strategia molto più razionale ed efficiente.
Un pò come immaginare che le strutture edilizie, come grattacieli o capannoni industriali, fossero il fusto di una pianta…
E in tal caso cosa potrebbe prendere il posto delle foglie, che hanno una superficie larga, se non le finestre adibite a essere allo stesso tempo dispositivi fotovoltaici? Ora, per produrre energia dal sole questa deve essere assorbita dalla finestra fotovoltaica, ma allora come può essere allo stesso tempo trasparente? Le perovskiti possono fornire una risposta utile perché garantiscono a una buona parte di radiazione visibile di passare e assorbirne una certa quantità in modo efficiente ma resta il problema degli elettrodi da cui poi l’energia prodotta viene estratta sotto forma di corrente elettrica, elettrodi come l’argento o l’alluminio che purtroppo per loro natura sono opachi e non lasciano filtrare la luce. Finora nessuno aveva risolto questo problema limitante. Nel nostro studio abbiamo dimostrato come sia possibile rendere anche gli elettrodi a loro volta trasparenti quasi come l’aria aprendo in modo concreto la possibilità di realizzare edifici auto-sostenibili.
Qual è l’innovazione chiave?
Il nostro studio nasce in realtà più da una curiosità che mi venne in mente durante una lezione di elettromagnetismo agli studenti e alle studentesse di Fisica del secondo anno. La lezione era sulle leggi di Fresnél che stabiliscono come la luce interagisce con i materiali e ne viene riflessa o trasmessa. Ebbene i metalli, che sono conduttori di elettricità, sono materiali riflettenti, che non lasciano passare la luce visibile, mentre l’aria o il vetro sono trasparenti. La ragione risiede nel modo in cui gli elettroni si muovono all’interno: nel caso dei conduttori essi sono liberi e rispondono facilmente alle sollecitazioni esterne, ad esempio alla luce, arrestandone il passaggio e riflettendola all’indietro. E’ la ragione per cui ogni mattina riusciamo a specchiarci. Il vetro invece possiede elettroni non liberi che pertanto non riescono a essere sollecitati con altrettanta facilità, per questo è trasparente. Semplificando, ci siamo chiesti allora cosa sarebbe accaduto se gli elettroni di superficie di una pellicola metallica fossero in un certo senso “bloccati” inserendo quest’ultima tra due pellicole di ossidi simili al vetro.
Cosa avete scoperto?
Teoricamente, abbiamo scoperto che sotto opportune condizioni, ovvero scegliendo il conduttore e gli ossidi in modo intelligente, la luce riflessa si abbatte completamente, quella trasmessa aumenta fino a quasi il 90% e così l’elettrodo da opaco diventa trasparente alla intera luce visibile indipendentemente – e questo è un aspetto essenziale, – dall’angolo con cui lo si osserva. Per dimostrarlo sperimentalmente abbiamo utilizzato tecniche di ellissometria avanzata che consentono di capire cosa succede quando la luce incide su queste strutture. E abbiamo così realizzato il primo elettrodo trasparente. A quel punto ci è venuto in mente di applicare questa tecnologia alle celle solari a perovskite e provare a vedere se, grazie all’abbattimento della riflessione da questi elettrodi, avremmo aumentato l’efficienza e la trasparenza delle celle solari. Il risultato, dopo due anni di lavoro, è stato un successo.
Quali sono le implicazioni pratiche e tecnologiche di questo lavoro nel campo dell’energia sostenibile e delle smart cities?
Sono innumerevoli, ma soprattutto potremo avere città costituite da una edilizia autosostenibile. Le città infatti sono altamente energivore in quanto strutture la cui organizzazione è alimentata da energia prodotta da impianti collocati a chilometri di distanza. Invece le città vanno ridisegnate concependole un po’ proprio come le piante , capaci di assorbire energia di qualità direttamente sul posto grazie al Sole. Ebbene finestre trasparenti che producono energia in loco, dove verrà sfruttata, ovviamente garantirebbero un incredibile riduzione delle perdite. Non ci sarebbe bisogno di trasportare energia elettrica lungo i cavi, i costi si abbatterebbero e ridurremmo il consumo del territorio. I dispositivi che abbiamo realizzato in collaborazione con la prof.ssa Sofia Masi dell’università Jaume I di Castellòn in Spagna hanno la capacità di trasmettere la luce solare incidente a tutti gli angoli di incidenza con prestazioni di efficienza di conversione da energia solare a elettrica intorno al 18%, quindi assolutamente compatibili con le celle solari policristalline attualmente in uso.
Come potrebbero essere integrate queste celle solari nei settori come l’agrivoltaico?
Oggi le celle solari sono collocate separatamente dalle serre. Con questa tecnologia la serra stessa potrebbe essere ricoperta da pellicole fotovoltaiche, eventualmente flessibili, usando elettrodi e film di perovskiti atti a far passare solo le componenti cromatiche della luce che verrà assorbita dalle piante (i colori blue e rosso), e usando la parte non assorbita e dalla pianta ma assorbita dalla cella (il verde) per produrre energia e alimentare la serra stessa.
Quali sono i prossimi passi per il team di ricerca in termini di sviluppo e applicazione pratica di questa tecnologia?
Ci sono vari step che io e la professoressa Antonella Lorusso, coautrice del lavoro, vorremmo effettuare: anzitutto provare a combinare altri materiali sia conduttori che semiconduttori o isolanti per aumentare ulteriormente le prestazioni degli elettrodi trasparenti e di conseguenza delle celle. Insieme alla prof.ssa Sofia Masi stiamo lavorando già anche all’applicazione di questa tecnologia ad altre tipologie di perovskiti e anche al fotovoltaico realizzato con materiali organici. Inoltre, e questo è per me uno degli aspetti fondamentali ma spesso poco considerati nella ricerca, stiamo facendo una valutazione di impatto ambientale dell’intero ciclo di vita del dispositivo. I risultati sono positivi, perché i materiali usati e i processi di fabbricazione delle celle hanno un impatto di gran lunga inferiore rispetto al fotovoltaico classico a base di Silicio
Quali sono le sfide rimanenti da affrontare per rendere questa tecnologia pienamente commercializzabile e accessibile?
Ci stiamo spingendo a produrre celle con superfici più ampie, e questa sarà la difficoltà maggiore che contiamo di risolvere, con gli opportuni finanziamenti, a medio termine. Una volta dimostrato che le prestazioni e i tempi di vita sono compatibili con la produzione di massa di vetri e finestre, mantenendo bassi i costi, la nostra soluzione potrà entrare nel mercato se saranno soddisfatti anche altri requisiti. Infatti è fondamentale naturalmente che non solo le strutture pubbliche, come il CNR e l’università, ma anche quelle private abbiano la lungimiranza di investire in soluzioni green del genere. Durante il mio post doc a Dresda assistetti alla creazione di una impresa nel campus in meno di un anno, con tanto di edilizia a tre piani, acquisto strumentazioni per la produzione preindustriale e alla assunzione di personale.
Una velocità impressionante…
Proprio così. La lentezza burocratica negli investimenti e nella capacità di spesa è uno dei due colli di bottiglia che abbiamo in questo paese. Inoltre, occorre detassare non solo le imprese amiche dell’ambiente ma anche la ricerca. I centri di ricerca e le università sono trattati come enti pubblici qualsiasi, quando invece sono la linfa culturale e tecnologica delle società moderne. Speriamo si possa rendere anche questi processi e non solo le città più smart.
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