Oltis Dallto, agri-PV manager presso juwi Group, ha detto a pv magazine Italia che le regole operative hanno in generale confermato la direzione presa con il DM Agrivoltaico. La principale differenza: in caso di sistemi verticali, le regole chiariscano che l’altezza dei moduli dovrà essere 1,3m mentre nel caso di attività miste bisogna considerare l’altezza minima di 2,10 m. La vera novità è che
pv magazine: Cosa pensa delle regole operative DM Agrivoltaico? Perché?
Oltis Dallto: Bisogna premettere che le Regole Operative hanno origine da un documento di consultazione che il GSE ha pubblicato a luglio del 2023 con l’obiettivo di approfondire alcuni aspetti che dovevano essere successivamente disciplinati dalle regole stesse. La consultazione è durata circa due settimane, non lasciando molto tempo ai diversi stakeholders di apportare il proprio contributo.
Il confronto avviato, suppongo con società prevalentemente dal settore solare, di fatto non ha portato all’introduzione di nuovi elementi rispetto alle previsioni iniziali. Dell’agrivoltaico marchiato “PNRR” è da molto tempo che si parla. Già nel 2021 si prospettava la possibilità di sviluppare questo GW di nuova potenza solare. Il fatto che ci sono voluti 3 anni per arrivare all’atto finale di questo lungo calvario ci deve far riflettere. In Francia, l’agrivoltaico, anche non incentivato, è legge ormai dal 2023 mentre la Germania con il ““Solarpaket 1” ha previsto bonus fino a 9,5 centesimi/kWh per tali sistemi. Ve bene il GW dell’agri-PV “PNRR” ma dobbiamo puntare a una crescita sostanziale di questo segmento del settore solare in linea con gli obbiettivi di installazioni per i target 2030, soprattutto considerando quanto di disastroso ha portato il Dl Agricoltura.
Cosa cambia in termini di requisiti spaziali per gli impianti agrivoltaici?
I requisiti spaziali, di fatto, sono conformi alle Linee Guida nazionali. In un primo momento sembrava che l’altezza dei moduli da terra, in caso di coltivazioni, fosse leggermente inferiore, ovvero 2,00m, ma adesso tale parametro rispetta il 2,10m imposto Linee Guida. Le uniche novità introdotte sono che, in caso di sistemi verticali, le regole chiariscano che l’altezza dei moduli dovrà essere 1,3m mentre nel caso di attività miste bisogna considerare l’altezza minima di 2,10 m. Personalmente, ritengo questi requisiti troppo rigidi e inidonei a coprire la vasta gamma delle attività agricole e pastorali, basta pensare al caso di un allevamento di galline o conigli dove questi numeri non sono assolutamente sensati.
Quali sono le novità in termini di sistemi di monitoraggio e di sistemi per agricoltura di precisione?
Le Linee Guida Crea-GSE che devono definire le caratteristiche e i parametri da monitorare e che dovevano essere rilasciate 15 giorni dopo la pubblicazione del DM Agrivoltaico stesso, ancora non si vedono. Le Regole Operative le menzionano, rimandano alla loro consultazione sul sito del GSE, ma di fatto, nella sezione dedicata all’agrivoltaico non ci sono. Credo che, come la nostra società, quasi tutti gli sviluppatori abbiano fatto riferimento, fino ad ora, alla referenza UNI/PdR 148:2023, un testo molto competo, dove ci sono indicazioni utili sulla stima e il calcolo della resa agricola ma anche in merito al sistema di monitoraggio dei parametri agronomici. L’agricoltura di precisione è basata su tali sistemi, di fatto l’implementazione di essi potrebbe essere una grande opportunità per incentivare l’uso della tecnologia in agricoltura, aumentare le rese agricole e ridurre i costi di gestione anche con enormi vantaggi ambientali. Basti pensare all’uso mirato ed efficiente della risorsa idrica o dei fertilizzanti. Tuttavia, non c’è alcuna indicazione precisa fino adesso su quali parametri agronomici/climatici bisogna misurare e monitorare. Le uniche certezze sono sulle modalità di monitoraggio della continuità delle attività agricole da parte del GSE.
Ma il DM Agrivoltaico non doveva promuovere l’innovazione?
Sì, doveva, purtroppo non si è rivelato così. Le regole chiariscono che gli unici criteri di priorità per le graduatorie sono lo sconto % sulla tariffa di riferimento, la % di autoconsumo dell’azienda agricola e la data di presentazione della domanda. Mi ricordo che già nel 2022 con i miei colleghi abbiamo speso tanto tempo ed energie nel cercare di sviluppare progetti conformi a quelli che sono i criteri di premialità secondo le Linee Guida. Adesso tutti quegli sforzi sembrano inutili in quanto non forniranno nessun “punto extra” in graduatoria. Infatti, rispetto alle Linee Guida stesse, mi sembra che si sia fatto un passo indietro nella ricerca di migliorare le prestazioni del sistema e la qualità del sito di installazione. Sembrerebbe che il DL, nella definizione dei criteri di priorità, non tenga in considerazioni molti fattori della qualità ovvero: le applicazioni di agricoltura digitale e di precisione già menzionata la conversione delle fonti energetiche delle aziende agricole, uno dei target principali dell’agrivoltaico stesso le soluzioni integrate per l’uso efficiente della risorsa idrica oppure quelle capaci di incrementare il fabbisogno di lavoro il miglioramento delle qualità ecosistemiche dei siti.
Menzione del paesaggio nelle regole operative? Saranno necessari processi/attestati per provare la coerenza del progetto con il paesaggio circostante?
L’aspetto che colpisce di più in queste regole è che la parola “paesaggio” non viene menzionata nemmeno una volta. Addirittura, le relazioni paesaggistiche, se non contengono elementi utili ai criteri di priorità, citati in precedenza, possono essere escluse dall’elenco dei documenti da presentare. Questo vuol dire che un progetto con un inserimento paesaggistico di qualità non avrà nessun beneficio rispetto a un progetto carente da questo punto di vista, nessuno controllerà, valuterà o premierà tale aspetto.
Ovviamente, qualche prescrizione può essere imposta nelle fasi VIA e AU, ma, tuttavia, i progetti di qualità avranno praticamente le stesse chance di essere selezionati rispetto a quelli mediocri.
Quale il ruolo degli agronomi?
Con riferimento anche alla nuova versione della CEI PAS 82-93, gli agronomi stanno cominciano ad assumere un ruolo sempre più centrale. Non solo si aprono nuove opportunità, lavorando per conto degli sviluppatori, effettuando le scelte agronomiche, decidendo il piano agronomico, la rotazione delle colture e garantendo la compatibilità del sistema fotovoltaico con le esigenze delle colture, ma anche, lato GSE, tali professionisti devono apportare, in qualità di soggetti terzi, tutti i controlli previsti dal sistema di monitoraggio principale. Ad essi, l’ingrato compito di controllare scrupolosamente, la documentazione prodotta annualmente dai loro colleghi che assistono le aziende agricole ovvero i soggetti beneficiari degli incentivi. Essi devono “spulciare”, secondo le cadenze sancite nelle Regole Operative, i fascicoli aziendali e le relazioni agronomiche. Essi sono inoltre responsabili della creazione della banca dati nella fase del monitoraggio iniziale, ovvero il cd ”benchmark”, per i primi 5 anni antecedenti l’inizio del periodo incentivante. Non solo, gli agronomi o i dottori forestali, iscritti nei rispettivi ordini, sono anche responsabili della verifica di esercizio triennale e del calcolo dell’indice % PLV, esprimendosi sulla congruità della resa agricola rispetto ai valori di riferimento e, conseguentemente, sulla continuità delle attività agricole. Insomma, si prevede un piccolo esercito di professionisti, incaricati dalla GSE con il potere di fare tremare le gambe a grandi multinazionali del settore energetico. Piccola rivincita per questa nicchia di professionisti molte volte sottovalutati e pagati non adeguatamente.
Il parametro di valutazione della resa agricola è la produzione lorda vendibile. Quale la motivazione, secondo lei, che ha portato alla decisione?
L’unico motivo a cui posso pensare è il fatto che fare i controlli sugli indici come il PLV/fatturato derivanti dai bilanci delle aziende agricole, oltre ad essere un “modus operandi” alla italiana consolidato ormai, è forse anche un modo più facile e standard per garantire il monitoraggio e la comparazione di queste enormi quantità di dati. Tuttavia, ogni impianto, anche se produce la stessa tipologia di prodotti agricoli, ha le sue caratteristiche univoche che non possono essere standardizzate. Molto dipende dalle caratteristiche dei mercati agricoli regionali, dall’efficienze delle filiere e le caratteristiche dei consumatori di tali prodotti. Mentre in Francia usano ormai da anni le aree di controllo per verificare la performance agricola di tali sistemi, in Italia si è scelto di usare come parametro di valutazione della resa (quindi la compliance con il requisito di continuità dell’attività agricola/pastorale) la Produzione Lorda Vendibile (PLV). Il calcolo della stessa sembrerebbe disciplinato dalle fantomatiche linee guida, lasciando non poca perplessità. Di fatto, la PLV non è misurata in termini di quantità fisiche ma, in denaro, quindi soggetta a fluttuazioni del mercato, volatilità dei prezzi, nonché speculazioni. Nel decidere di subordinare l’erogazione degli incentivi nel corso della vita utile a tale parametro si è perso quello che è lo scopo dell’agrivoltaico stesso, ovvero cercare di dimostrare (in termini non monetari) la convivenza nel lungo periodo, la sostenibilità e i reali benefici ottenuti da entrambi i sistemi attraverso una progettazione integrata e multidisciplinare. Abbiamo perso, inoltre, la grande opportunità, di fare della ricerca e dell’innovazione attraverso lo studio dei diversi parametri che influiscono sulla produttività di tali impianti. Faccio un esempio semplice. Avendo come obbiettivo principale solo il mantenimento degli incentivi, per garantire una produzione agricola idonea, posso decidere di introdurre nei processi enormi quantità di acqua, diserbanti e fertilizzanti. Di sicuro andrò a soddisfare la PLV, ma produrre in queste condizioni è sostenibile a lungo andare?
La biodiversità sembra anche non essere più un fattore importante, o sbaglio?
Un vero peccato. In generale, il fotovoltaico non è nemico della biodiversità dei siti di installazione. Anzi, molti studi, dimostrano il contrario. Paradossalmente, il PV a terra è la soluzione che più aiuta sotto questo aspetto. Basta pensare che, a fine costruzione, quando questi sistemi entrano in esercizio, il fattore antropico diminuisce quasi del tutto, lasciando che la natura riprenda i suoi meccanismi di autoregolazione. Nel caso dell’agri-PV abbiamo la presenza costante dell’uomo in sito, macchinari, mezzi in opera ecc. che rendono difficile un recupero autonomo della biodiversità. Inoltre, le politiche PAC impongono che circa il 4% della Superficie Agricola Utile (SAU) non deve essere coltivata. Queste aree sono destinate al mantenimento della biodiversità ma tanti progetti che ho visto non tengono conto di questa enorme potenzialità. Si può fare tantissimo per incrementare la biodiversità del sito con piccoli accorgimenti. Dalla scelta di eventuali specie mellifere nella fascia di mitigazione ovvero strisce di impollinazione, dal cumulo di pietre lasciato in sito intenzionalmente per favorire l’habitat di piccoli rettili ovvero la creazione di rifugi per uccelli sfruttando i pali degli impianti di illuminazione. Altri esempi possono essere le piccole strutture in legno per insetti chiamate anche “bugs hotel” o le recinzioni rispettose della fauna selvatica mediante la realizzazione di apposite aperture nei recinti per i mammiferi di piccola e media taglia. Tutto questo si può realizzare nelle cosiddette Tare o nel perimetro di tali impianti con un costo veramente irrisorio rispetto al finanziamento della parte fotovoltaica.
Altre riflessioni?
L’agrivoltaico è molto di più che semplice produzione agraria ed energia elettrica. Esso è un sistema complesso che interagisce con il suolo, l’acqua e l’aria. Si può addirittura definire un piccolo ecosistema e in tal senso può fornire diverse categorie di servizi ecosistemici. Potrei citare ovviamente i servizi di approvvigionamento quali produzione energetica e alimentare. Altri servizi possono essere quelli di regolamentazione come il sequestro del carbonio e il controllo dell’erosione, ovvero servizi di supporto come la fotosintesi e la produzione primaria netta e, infine, servizi culturali come quelli ricreativi. La mission dell’agrivoltaico è la sostenibilità attraverso l’espressione multiforme delle sue enormi potenzialità. Fissare regole operative, requisiti geometrici e metodi di monitoraggio non adeguati riduce di molto tale potenzialità e la crescita del settore.
Ci vuole più spazio per l’innovazione e la sperimentazione.
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