La Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (CdS) ha espresso un parere sostanzialmente negativo sullo schema di decreto legislativo “recante disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell’art. 26, commi 4 e 5, lett. b) e d), legge n. 118/2022”, ovvero il Testo unico FER. Per il CdS la tecnica normativa impiegata è “lacunosa” e “antitetica” rispetto all’obiettivo di semplificazione.
Il 16 agosto, con una nota, il Ministero per la Pubblica amministrazione ha richiesto un parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto del Testo unico FER. A seguito della riunione del 10 settembre, l’apposita sezione del CdS ha rilasciato il parere n. 01216/2024.
Il parere
In prima battuta il Consiglio di Stato ha “stigmatizzato la prassi di redazione postuma” dell’Analisi tecnico-normativa (ATN) e dell’Analisi di impatto della regolamentazione (AIR) rispetto all’esame preliminare del Consiglio dei Ministri e alla trasmissione dello schema al CdS.
Dal punto di vista procedurale “una tale prassi – scrive il CdS – è foriera di inspiegabili difformità di contenuti dei documenti”. Inoltre “si constatano rilevanti scostamenti” rispetto a quanto previsto dal comma 7 della legge delega n. 118/2022 “atti a compromettere la conformità dell’iniziativa normativa al modello legale”. In sostanza, lo schema di decreto redatto dal governo non perseguirebbe l’incarico dato dal Parlamento.
Il CdS evidenzia anche “l’insufficienza di quanto comunicato ai fini della dimostrazione dell’effettività dell’esercizio del potere di proposta da parte di tutti i soggetti istituzionali” chiamati in causa. Le dichiarazioni utilizzate nel testo “costituiscono asserzioni formali che, sotto il profilo sostanziale, non rendono in alcun modo percepibile il contributo delle Amministrazioni ai contenuti dello schema di decreto”.
Anche in questo, il Testo unico FER risulterebbe difforme rispetto alla volontà del legislatore delegante – il Parlamento – che ha richiesto il coinvolgimento di più soggetti istituzionali e non di un solo ministro.
Un’ulteriore lacuna evidenziata è che “rispetto al procedimento previsto dalla disposizione di delega è costituita dalla mancanza, nella documentazione in atti, dell’intesa in sede di Conferenza unificata che deve essere acquisita previamente al parere del Consiglio di Stato”.
Un altro cavillo viene rilevato nella relazione istruttoria che – si legge nel parere – “richiama il Piano per la transizione ecologica (PTE) laddove prevede che l’apporto delle energie rinnovabili alla generazione elettrica dovrà raggiungere almeno il 72% entro il 2030 e stima che il fabbisogno di nuova capacità FER da installare debba attestarsi intorno a 70-75 GW, vale a dire tra 7 e 8 GW/anno”.
Tuttavia, tale dato non pare allineato al target previsto dalla relazione AIR che è pari, per le fonti eoliche e fotovoltaiche, a 108 GW complessivi al 2030.
Per queste e altre ragioni, il parere conclude che dall’esame dell’atto traspare “una tecnica normativa lacunosa, non solo non puntualmente correlata alle specifiche previsioni delle fonti dell’Unione europea, ma anche sostanzialmente antitetica, laddove adotta il metodo delle abrogazioni aspecifiche, all’obiettivo della semplificazione del quadro normativo nazionale”.
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