Sono oltre 127 i miliardi di euro investiti in Italia nel 2023 per favorire la decarbonizzazione, cioè un quarto di tutti gli investimenti realizzati nel Paese. Eppure, gli obiettivi al 2030 restano lontani e, per centrarli, la decarbonizzazione deve aumentare di velocità, con un particolare accento sui settori rimasti più indietro, come trasporti (responsabile di 28% delle emissioni in Italia), produzione di energia e calore (20%), consumi residenziali e commerciali (16%).
A dirlo è la terza edizione di Zero Carbon Policy Agenda (2024), della Energy&Strategy (E&S) School of Management, Politecnico di Milano.
“Se è vero che il trend a lungo termine è positivo, con una riduzione delle emissioni proporzionalmente maggiore rispetto all’Europa grazie al calo dei consumi energetici, a una maggiore efficienza e alla crescita delle rinnovabili, il nostro PIL dal 2005 al 2023 è cresciuto solo del 18%, contro l’85% della media UE”, si legge nella terza edizione del rapporto a cura dell’ateneo milanese.
Ma il rapporto sostiene che l’accelerazione necessaria sia ancora possibile.
“Noi siamo convinti che il cambio di passo sia ancora possibile, soprattutto se si considera il grande potenziale inespresso, da parte sia del pubblico che del privato. Pensiamo al PNRR: l’Italia ha ottenuto oltre 194 miliardi di euro, più di ogni altro Stato europeo, ma ha destinato alle misure climatiche poco più del minimo previsto dall’Europa (41%, contro il 50% della Francia, che ha avuto un quinto dei nostri fondi, e il 47% della Germania) e gli interventi stanno andando a rilento, con solo il 36% realizzato nel terzo trimestre 2024 contro il 64% previsto. Lo stesso dicasi per i fondi REPowerEU: abbiamo ricevuto la cifra più alta, ma solamente il 68% è servito per obiettivi climatici, contro una media europea dell’85%”, ha detto Vittorio Chiesa, direttore di E&S.
Quanto agli interventi privati, l’ESG e la finanza sostenibile stanno trasformando il mondo degli investimenti, ma c’è molta differenza tra le aziende quotate, sempre più attente alle tematiche green, e quelle che non lo sono, dove l’impegno diminuisce con il calare della dimensione aziendale.
“Gli indicatori ESG hanno spinto le imprese a decarbonizzare, nonostante la valutazione delle performance sia frammentata e manchi di una standardizzazione universale, creando una notevole eterogeneità tra i diversi provider”, ha detto Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e curatore dello studio.
In base all’indicatore che E&S ha chiamato Emission Intensity, e che mette in relazione le emissioni di CO2 e il business delle aziende, le prime 40 imprese italiane per capitalizzazione di Borsa sono scese dagli 0,62 kton CO2/mln di euro di valore aggiunto del 2018 agli 0,39 del 2022. Ma il tessuto industriale italiano è tradizionalmente fatto da piccole e medie imprese.
Se si allarga lo sguardo alle principali imprese italiane per fatturato, ma non quotate in Borsa, la fotografia cambia radicalmente: il 70% non adotta nemmeno una valutazione ESG, indistintamente dal settore di riferimento, e la riduzione dell’Emission Intensity è decisamente meno marcata, con 0,77 kton CO2/mln di euro di valore aggiunto contro 0,39 delle quotate.
Il rapporto sottolinea il cambio normativo gravoso che preoccupa il tessuto imprenditoriale, ma anche la mancanza di attenzione alle tematiche da parte della politica.
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