Ricerca del CNR: veto al fotovoltaico a terra aumenta costi di sistema del 15-25%

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Il nucleare non rientra nel mix energetico ottimale di un distretto energetico nell’Italia meridionale al 2050, mentre il fotovoltaico a terra dovrebbe aumentare il proprio peso in uno scenario ottimale.

“I legislatori dovrebbero comprendere che l’uso del suolo di questa tecnologia è comunque contenuto e non è necessariamente un danno ma può rappresentare una opportunità per co-benefici sulla biodiversità (conservoltaic). Questo anche in caso di dimezzamento dei costi del nucleare, come da scenari della International Energy Agency (IEA)”, ha detto a pv magazine Italia Luigi Moccia dell’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), autore del paper “Optimization of baseload electricity and hydrogen services by renewables for a nuclear-sized district in South Italy”, pubblicato di recente sulla rivista Smart Energy.

“Nel caso di veto al fotovoltaico a terra la capacità di accumulo aumenta del 16-20%, con conseguenze sui costi di sistema del 15-25%, il curtailment raddoppia, mentre il costo dell’idrogeno a zero emissioni aumenta del 14-21%”, ha spiegato Moccia.

L’aumento dei costi di sistema legato a un eventuale veto al fotovoltaico a terra al 2050 si attesta intorno a 7 euro/MWh. Il veto al nucleare invece non aumenterebbe i costi di sistema.

“Le valutazioni economiche suggeriscono che il nucleare non è una tecnologia adatta per integrare le rinnovabili dato che ha elevatissimi costi fissi, mentre per questo ruolo servono tecnologie dai bassi costi fissi, in quanto il costo marginale elevato di impianti come i turbogas da biometano non è un problema per i costi di sistema quando l’integrazione è su pochi punti percentuali” ha detto Moccia, specificando che i costi di sistema aumenterebbero però nel caso in cui i turbogas dovessero rappresentare più del 5% del mix energetico.

Moccia spiega poi che il fotovoltaico a terra è conveniente rispetto anche al fotovoltaico sui tetti di attività industriali e che, in ottica ottimizzazione, questo dovrebbe avere la priorità, insieme all’eolico onshore.

“Il fotovoltaico su tetti, quello commerciale e industriale, è pur sempre un fotovoltaico abbastanza conveniente. Ma quello a terra, con inseguimento monoassiale, fornisce un vantaggio in termini di costo di sistema, richiedendo infatti meno accumuli”, ha detto Moccia, sottolineando poi i più alti costi ambientali del fotovoltaico su tetto rispetto a quello a terra.

Anche con le più ottimistiche ipotesi sul finanziamento degli investimenti, in uno scenario solo con fotovoltaico su tetto e senza eolico onshore, i costi di sistema aumenterebbero di 44 €/MWh, causando più di un raddoppio del costo di sistema.

Il fotovoltaico a terra e l’eolico onshore sono considerati quindi l’ossatura del mix energetico ottimale al 2050 nell’Italia meridionale.

Stoccaggi: idrogeno in cave, metanazione e idrogeno

“Il solare e l’eolico più gli accumuli di breve e medio periodo non coprono però il 100% della domanda. Necessari quindi gli accumuli stagionali. Per gli stoccaggi di breve e medio periodo dovremmo dare priorità all’idroelettrico a pompaggio. Questo anche rispetto alle più ottimistiche proiezioni al 2050 del costo delle batterie. Le batterie agli ioni di litio potrebbero costare ancora meno rispetto ai dati usati nel paper, ma l’idroelettrico a pompaggio regge comunque”, ha spiegato Moccia.

Per gli stoccaggi di lungo periodo, Moccia suggerisce che la metanazione dell’idrogeno è la soluzione più percorribile perché, almeno in Italia, mancano delle caverne compatibili con lo stoccaggio di lungo periodo dell’idrogeno mentre esiste già l’infrastruttura per lo stoccaggio di metano.

“La metanazione è conveniente perché faccio l’ipotesi di non avere uno stoccaggio geologico per l’idrogeno e lo stoccaggio in serbatoi di superficie, dal costo molto alto, ha un tasso di rotazione molto basso, circa due volumi all’anno”, ha detto Moccia.

Questo problema non si presenta in geografie con molte caverne in formazioni saline. In questo caso, lo stoccaggio di idrogeno ha dei costi piuttosto contenuti.

La metanazione dell’idrogeno ho però bisogno di una sorgente di CO2 non fossile, che richiede quindi una fonte biogenica o la cattura diretta dall’aria (DAC) su cui, dice Moccia, aleggiano ancora incertezze lato costi.

“Con la metanazione il distretto riesce a fornire il 100% in assetto baseload e anche di idrogeno per fini industriali”, ha detto Moccia.

Il ricercatore del CNR spiega poi che è improbabile che l’idrogeno a un costo superiore a 1,5 €/kg sia competitivo per le applicazioni industriali nel 2050.

“Gli scenari con energia eolica e solare a terra nel distretto possono produrre idrogeno a un costo livellato dell’idrogeno (LCOH) di 1-1,4 €/kg, mentre l’idrogeno in uno scenario senza eolico e fotovoltaico a terra costerebbe da 2,3 a 4 €/kg. L’LCOH arriverebbe a circa 1,5 €/kg nel caso di eolico e fotovoltaico su tetto”, conclude Moccia, sottolineando poi che l’eolico e il fotovoltaico hanno di per loro un’alta compatibilità. “La loro sinergia è il fattore che limita il back-up stagionale”, conclude il ricercatore del CNR.

 

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