Agrivoltaico, l’esigenza del “doppio uso” della mitigazione

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“Nel parere favorevole relativo ad un recente Decreto di VIA che abbiamo ricevuto per un nuovo impianto da 80 MW nel Lazio, il Ministero della Cultura (MIC) ha formulato una prescrizione circa il design della mitigazione che amplia e sistematizza in modo interessante una tendenza che avevamo già registrato”, racconta a pv magazine Italia l’architetto Alessandro Visalli di Progetto Verde, sottolineando che si tratta di una nuova opportunità per ripensare il modo in cui il paesaggio e le infrastrutture dialogano tra loro.

Un aspetto chiave viene dettagliato nella prescrizione emessa dal MIC, che specifica un approccio mirato al contesto paesaggistico e alla biodiversità locale. Visalli ha spiegato il decreto in modo più chiaro: “La parte innovativa è l’indicazione di privilegiare la distribuzione in gruppi o macchie, prevedendo irregolarità o dissolvenze, finalizzate a creare un effetto di naturalità, favorire l’armonizzazione con il paesaggio esistente, l’innesco di dinamismi naturali e di riconnessione ecologica con i boschi e le fasce arbustive esistenti, per garantire che la ‘schermatura’ dell’impianto non costituisca al contempo una barriera verde”.

Questo approccio introduce un concetto chiave definito da Visalli come “doppio uso” della mitigazione. “La mitigazione deve avere un “doppio uso”, sia schermare e non far vedere sia riconnettere ecologicamente l’esistente. D’altra parte essa stessa non deve divenire un segno antropico che si va ad aggiungere al territorio, ma, al contrario, l’opportunità di aumentare l’espressione di naturalità dello stesso”.

L’obiettivo non è quindi solo il mascheramento visivo degli impianti, ma anche la promozione di un equilibrio ecologico, utilizzando specie autoctone disposte secondo principi naturali. “A tal fine invece di farsi attrarre dalla ‘linea’ della recinzione e del bordo della particella catastale di pertinenza, disponendo filari e siepi, bisogna lavorare con il principio di crescita naturale per propagazione delle specie inserite, creando quindi delle piccole macchie, grumi e addensamenti, diradamenti. A tal fine probabilmente accettare anche che a tratti l’impianto si intraveda, faccia capolino,” aggiunge Visalli.

Visalli chiarisce che “tutto ciò rappresenta una sfida rispetto alla dimensione della mitigazione stessa perché questo principio insediativo del sistema del verde richiede spessore, e alle necessarie operazioni di manutenzione e gestione del sottobosco”.

Un altro aspetto critico evidenziato è il bilanciamento tra creazione di naturalità e riduzione dei costi di gestione. “Infatti uno dei criteri standard del progetto di mitigazione è di consentire la raccolta e sfalcio meccanizzata, per non moltiplicarne i costi. Occorre qui trasferire le competenze ed esperienze da settori contigui, come la progettazione del verde urbano e dei relativi parchi,” sottolinea Visalli, prospettando la necessità di un approccio interdisciplinare per integrare questa visione nei progetti futuri.

 

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