pv magazine Italia ha parlato con Michele Soldavini, coordinatore Area Mercati Energetici della società di consulenza Alens. Soldavini ha spiegato cosa è successo sui mercati energetici negli ultimi sei mesi e per quale motivo gli energivori hanno cercato di sottoscrivere contratti biennali, PPA e di aderire all’Energy Release.
Il punto di vista di Alens è interessante, per via dei vostri clienti, grandi consumatori. Quali sono i trend principali in termini di richieste da parte dei vostri clienti negli ultimi 12 mesi? Come si concretizzeranno in termini di domanda sul mercato dell’energia nei prossimi mesi?
Il rialzo dei prezzi fra agosto 2024 e febbraio 2025 ha provocato diffusi mal di pancia e tentativi forse anche troppo frenetici di coprirsi con fixing a livelli elevati. Nonostante diverse analisi anche autorevoli spingessero le strategie di acquisto in senso rialzista ed allarmistico, era molto chiaro dai dati CoT (Commitment of Traders) ICE che una mole di liquidità immotivata da parte dei fondi spingeva in su il TTF e di conseguenza tutto il comparto.
L’esigenza dell’abbattimento dei costi, complice questo allontanamento dagli attraenti livelli di prezzo della primavera 2024, si è riproposta nella ricerca di contratti biennali, nel rinnovato interesse per i PPA, ancora da tradursi in pratica effettiva, e nella grande ricettività ai meccanismi incentivanti promossi dal regolatore, a partire dall’Energy Release.
Un marcato fossato si è creato fra i grandi consumatori elettrivori e quelli al di fuori degli elenchi CSEA, come la grande distribuzione che seguiamo con molti leader del settore. Il recente azzeramento degli oneri per le BTA6 non-domestiche nel secondo trimestre ha in parte livellato questo scompenso, ma solo temporaneamente e non strutturalmente.
Intercettando involontariamente il crollo dei prezzi, lo stanziamento potrebbe avere durata solo trimestrale, mentre il DL Bollette nella sua forma originaria parlava di un azzeramento semestrale. En passant, fa riflettere il rischio per l’erario di interventi di supporto in cui il beneficio, preventivo, è scollegato ai prezzi; a differenza delle forme di CfD, non a caso sponsorizzate da Bruxelles, e agli interventi ex-post, come i crediti d’imposta del 2022-2023.
La volatilità dei prezzi degli ultimi mesi è un tema importante per i grandi consumatori, perché è ora chiaro che questa variabilità non è stata solo una questione momentanea. È molto probabile, se non sicuro, che si riproporrà nei prossimi mesi e anni. I vostri clienti ne sono consapevoli?
Grandi sforzi sono stati spesi nel rassicurare contro un’estrema improbabilità del ritorno dei prezzi ai valori del 2021-2023 e nella spiegazione dei meccanismi di finanziarizzazione del TTF e per suo mezzo anche dei prodotti elettrici. Questo tipo di volatilità era tutto sommato inedita, o comunque si accompagnava sempre a rivolgimenti militari e internazionali drammatici e sotto gli occhi di tutti, da Kiev a Israele e Gaza.
Nelle ultime settimane, il “tutto e il contrario di tutto” visto con i dazi trumpiani (tutt’ora, ampiamente illeggibili), non fa che gettare sconforto sui tentativi di visibilità e prevedibilità del fixing futuro. Complice il fatto che con i crolli recenti i prezzi sono tornati appetibili, per quanto non ancora ottimali, molti clienti stanno spingendo per contrattualizzare anche il 2027 o addirittura il 2028, e portarsi avanti con le fissazioni del prezzo almeno sul 30%-50% dei volumi futuri.
Parlando di Energy Release, voi avete rilevato che, dato che la maggior parte degli energivori non realizzerà direttamente gli impianti, ma lo farà per via di aggregatori (che possono essere developer puri, ESCo o multi-utility), lo sconto ottenibile effettivo ottenibile attraverso la partecipazione all’Energy Release dovrebbe essere di circa 15 €/MWh. Questo è comunque sufficiente, giusto? Per quale motivo? Perché permette di aumentare la visibilità sui prezzi? Quali sono le alternative?
La stima dello sconto ottenibile si è (almeno temporaneamente) ridotto con il calo dei forward, soprattutto quelli fino al Q1-’26. Attualmente lo sconto sul triennio (medio) si aggira poco sotto i 10 €/MWh rispetto alle proiezioni, al netto naturalmente delle fee che gli elettrivori corrisponderanno agli aggregatori in cambio dei propri servizi.
Sicuramente il calo ha “raffreddato” gli entusiasmi dei partecipanti, insieme alla notizia, non ancora confermata per via ufficiale dal Gestore dei servizi energetici (GSE), che un ottimo tasso di partecipazione, stimato in oltre 70 TWh annui, ridurrà al 33% i quantitativi di energia effettivamente assegnata (ovvero, sempre stimato alla buona, l’esito del riparto pro quota dei 24 TWh in palio).
Il fatto, tuttavia, valido almeno per i nostri assistiti, che a fronte delle fee corrisposte l’aggregatore va a “manlevare” esplicitamente ed esclusivamente l’aggregato sull’evenienza di mancata realizzazione degli impianti associati nei tempi previsti (40 mesi), libera l’energivoro dal 99,99% delle preoccupazioni su futuri obblighi ad adempiere.
Per quanto di ridotta entità, dunque, si tratterebbe dal punto di vista industriale di introiti risk-free fino a dicembre non immaginati.
Perché è conveniente quindi preferire di affidarsi ad aggregatori nel caso dell’Energy Release?
Se l’elettrivoro non avesse ceduto all’aggregatore il proprio diritto di soggetto beneficiario dell’Energy Release, a fronte di una fee importante (ma negoziata di ribasso in ribasso fino alla zona 25-40% del corrispettivo in CfD), si troverebbe al momento con la prospettiva di maggiori introiti ma il seguente dilemma:
- Realizzare in situ la capacità. Questa è una casistica valevole solo per fabbisogni richiesti molto piccoli, visti i coefficienti utilizzati dal GSE. L’elettrivoro dovrebbe poi restare controparte del GSE in CfD sullo zonale orario (peraltro fermo sui prezzi nulli o negativi) per 20 anni, fino al 2047 (auguri!);
- Negoziare con i developer o gli aggregatori-developer (spesso lo stesso soggetto) un contratto di delega pura che obbliga la controparte a onorare gli impegni restitutori, a fronte di una fee che sarà sperabilmente più piccola di quella lasciata nel partecipare alla manifestazione d’interesse in forma aggregata. Anche in questo caso, tuttavia, si può ritenere che non vi siano manleve esclusive e che, se si dovessero avere difficoltà a trovare gli impianti pronti entro metà 2028, l’elettrivoro rimarrà soggetto al rischio di dover reintegrare allo Stato il beneficio.
Zero rischi, minor complessità, “pochi e subito” a costo di aver probabilmente snaturato lo spirito originario del decreto, ovvero quello di favorire l’aggregazione fra energivori partecipanti in forma diretta, in senso consortile, rimanendo parte attiva del CfD.
Per quanto riguarda i PPA, i clienti tipo sono stati finora aziende con un consumo energetico molto significativo. Cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi per le aziende medio/grandi, aziende con consumi energetici da 10-50 GWh/anno per esempio? Può presentare uno scenario per questo cliente tipo? In che modo potrebbero accedere a PPA?
La speranza di tanti medio-grandi è che gli impianti asseverati all’Energy Release, magari gli stessi che parteciperanno per un’altra quota parte della capacità installata al FER-X, risultino pienamente bancabili e lascino aperti degli spicchi di capacità residua non incentivata, che i developer vorranno commercializzare con PPA offsite più economici e snelli in termini di durata, e quindi più appetibili.
È uno scenario che potrebbe profilarsi nei prossimi trimestri. Lo stimolo della sostenibilità e dell’addizionalità del nuovo impianto rimane, ma ha forza motrice leggermente minore, o comunque in quei settori dov’è preponderante, come il farmaceutico o in molti casi le multinazionali con holding europee, sta già informando da un bel po’ i processi decisionali. Quel che attrae ora dei PPA nella medio-grande manifattura, dal tessile alla chimica e al petrolchimico, è la visibilità del prezzo su cadenza decennale (e quindi i PPA baseload, finora più costosi e difficili da negoziare).
Sui piccoli fabbisogni rimangono preferibili per ovvie ragioni (non pagano gli oneri e i costi accessori variabili) le soluzioni dell’autoconsumo in situ e in linea diretta, anche per mezzo dei PPA onsite.
Si sente che alcuni developer hanno ricevuto richieste per PPA in cui viene inclusa anche la possibilità di non prelevare in determinati periodi, sabato e domenica, o in alcuni mesi, come agosto. Dal vostro punto di vista è una prassi consolidata o un’eccezione?
I cicli produttivi che lavorano su diversi turni continuano a cercare PPA baseload. La questione di agosto rimane sicuramente delicata per tutti i clienti industriali in Italia, meno con il baseload che con i profili pay-as-produced e pay-as-profiled.
Il grado di sofisticazione sarà probabilmente destinato a crescere, anche se per ora i casi di clienti pronti a sondarlo a livello decisionale e di mindset sono ancora in minoranza.
E parlando di durate dei PPA?
La durata decennale ha rappresentato forse un vincolo per molte realtà; viceversa, in passato erano proposti con durata minore soluzioni commerciali di fake PPA, che magari riguardavano impianti brownfield. La durata minore, quinquennale o settennale, su impianto addizionale, grazie magari alla più facile bancabilità portata da Energy Rrelease e FER-X, sarà un’evoluzione sperata e attesa.
A parte l’Energy Release e i PPA, ci sono poi altri strumenti a disposizione dei vostri clienti per diminuire l’esposizione alla volatilità dei prezzi? Quando poi potremo vedere reali meccanismi di demand response?
Lo strumento finanziario è diffuso nelle realtà di consumo più grandi, per esempio, la propensione a hedging finanziari su prodotti che vanno oltre la scadenza del contratto fisico di somministrazione e delle relative possibilità di fixing. Le principali remore fra i clienti più piccoli sono bilancistiche e di rendicontazione.
La demand-response è qualcosa verso cui cerchiamo di catechizzare i nostri clienti con frequenza crescente. Non solo la duck curve per chi è esposto a prezzo variabile, soprattutto nei Q2 e Q3, ma anche il grande aumento della componente di picco della voce del dispacciamento elettrico che remunera il Capacity Market, spingono all’efficienza e alla programmazione dei prelievi. Certo, non sempre è possibile anche solo ipotizzare di ridurre i carichi in alcune ore per aumentarli in altre, tuttavia spesso i principali paletti sono in prima istanza di forma mentis.
È un processo non immediato, ma nei prossimi anni si vedranno esempi più frequenti di demand-response, in attesa degli effetti del MACSE e del decollo degli accumuli di rete, che da questo punto di vista sono la rivoluzione attesa.
Spiegava che il biennale è tornato ad essere un desiderata dei clienti, in un momento in cui lo spread su PUN è tornato a scendere a 1 euro/MWh, o comunque sta tornando a scendere. Può spiegare nuovamente il fenomeno? Cosa sta succedendo e per quale motivo questi potrebbero diventare contratti bridge?
Il biennale può rappresentare un contratto bridge se la realtà industriale avesse intenzione di negoziare nei prossimi mesi e trimestri un PPA offsite per una quota importante del prelievo annuo, con C.O.D. 2028.
Come può il consumatore evitare di sottoscrivere un contratto PPA su una quantità di energia che poi si rileva essere troppa? Meglio “sottodimensionare” il contratto? Come?
La tara del dimensionamento del fotovoltaico associato va fatta soprattutto sulle ore di picco produttivo dell’impianto e di cannibalizzazione dei prezzi orari (Q2-Q3 in particolar modo), laddove la rivendita oraria può essere sanguinosa. I PPA eolici pay-as-profile, se mai si diffondessero in Italia, sarebbero importanti in questa direzione, anche se i pochi verranno innanzitutto intercettati dai data centres e da altri grandi centri di consumo costanti.
A livello di fabbisogno comunque è opportuno non spingersi oltre il 30% di copertura del proprio prelievo da rete, come regola generale finora corrente, anche per questioni legate ai cicli non sempre rosei che coinvolgono il manifatturiero italiano ed europeo al di là dei propri primati e della propria efficienza. Si veda l’automotive, con indotto, e la sua vulnerabilità estrema rispetto alla pericolosissima tenaglia commerciale che USA e Cina stanno a tutt’oggi agitando gli uni contro l’altra. Il 30% di oggi potrebbe essere l’80% del fabbisogno nel 2034.
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