Butera: discussioni (poco chiare) sul nucleare distraggono fondi dalle rinnovabili, ritardano transizione

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Si ritorna a parlare dello sviluppo del nucleare in Italia. Un recente studio realizzato da Edison, Ansaldo Nucleare e Teha Group sostiene che, installando fino a 20 impianti Small Modular Reactor (SMR) e Advanced Modular Reactor (AMR) si può abilitare un impatto economico complessivo per il Paese superiore a 50 miliardi di euro attivando fino a 117.000 occupati diretti, indiretti e indotti dal 2030-35 al 2050.

Il governo ha di recente annunciato che dovrebbe approvare il disegno di legge sul nucleare in Italia entro il 2025, creando anche una compagnia nazionale per lo sviluppo del nucleare “con partnership tecnologica straniera, per produrre a breve i reattori di terza generazione”, come detto nel fine settimana dal ministro delle imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel suo intervento al Forum Ambrosetti di Cernobbio. Urso ha anche dichiarato che la newco potrebbe vedere la partecipazione di Enel, Ansaldo e aziende francesi e americane.

Come ricordato dall’ENEA l’Italia dispone di un sistema di ricerca all’avanguardia con diversi centri di eccellenza, tra cui il Centro ENEA di Brasimone, e numerose facoltà di ingegneria nucleare presenti su tutta la penisola.

pv magazine Italia ha parlato con Federico Butera, professore emerito di fisica tecnica ambientale al Politecnico di Milano, per capire le ripercussioni di queste discussioni sul mondo delle rinnovabili in Italia. Ha veramente senso parlare di nucleare in Italia? Ora?

pv magazine: La produzione di reattori di terza generazione in Italia è fattibile a livello economico?

Federico Butera: Immagino che per reattori di III generazione lei intenda gli SMR, Small Modular Reactors, che sono reattori a fissione di taglia non superiore a 300-400 MW che usano acqua come refrigerante, come per le centrali nucleari di III generazione propriamente dette, che hanno potenze molto più elevate, superiori a 1000 MW. Infatti a questi reattori, gli SMR, fa riferimento lo studio che lei cita. Detto questo, la risposta è: al momento no, o comunque non si sa. Infatti non c’è alcun reattore di questo tipo disponibile sul mercato, e l’unica azienda – l’americana NuScale – che ne aveva uno vicino alla commercializzazione, recentemente ha deciso di chiudere il progetto perché i costi di produzione del kWh si erano rivelati troppo alti, circa il doppio di quanto preventivato. Quando si parla di SMR si parla di qualcosa che ancora non c’è.

Quali sono le possibili tempistiche?

Non essendoci alcun precedente è impossibile dirlo. Chi li sostiene afferma che si possono fare in pochi anni, ma c’è il problema della accettazione locale. Se è lungo e difficile fare approvare un sito, questa difficoltà si moltiplica man mano che il numero aumenta, e gli SMR dovrebbero essere molti e distribuiti nel territorio nazionale.

Cosa vuol dire per il mondo delle rinnovabili? Alcuni esperti di fotovoltaico la considerano una “distrazione di massa”. Cosa ne pensa?

La risposta è implicita in quelle precedenti. Non essendoci alcuna certezza sui costi e sui tempi, parlarne significa voler fare passare il messaggio che sulle rinnovabili non c’è fretta e non ne occorrono tante perché tanto c’è il nucleare e quindi non conviene investire su di esse. E intanto andiamo avanti col fossile.

Potrebbe implicare una distrazione di capitali dalle rinnovabili (al nucleare)? In quale orizzonte temporale?

Decisamente sì. Gli investitori sono indotti ad aspettare gli SMR per poi investire su questi, magari già investendo in quelle aziende che li stanno sviluppando. Come – sul campo della fusione, però – sta facendo l’ENI. Le previsioni dello studio citato sono inizio produzione nucleare fra il 2035 e il 2040. Saremo nella fase in cui si renderebbe indispensabile, data la penetrazione delle fonti rinnovabili, realizzare sistemi di accumulo per compensare le fluttuazioni della produzione solare ed eolica. Al posto di questi sistemi si propone il nuovo parco nucleare con gli SMR, che dovrebbero svolgere la stessa funzione, ma a costi molto probabilmente superiori, proprio a causa della funzione che si conta di attribuire loro.

Si aspetta delle rimostranze a livello locale nei confronti delle eventuali aree selezionate per l’installazione dei reattori?

Certamente scatterà il NIMBY [“not in my back yard” o “non nel mio giardino”, ndr], col rifiuto di avere il reattore vicino casa, perché pur sempre di un reattore nucleare si tratta, con il senso di pericolo che induce; e a questo si aggiungeranno quelli che contrasteranno non per paura, ma perché motivati a favore delle fonti rinnovabili che il nucleare tende a sostituire.

Quali considerazioni dovrebbe essere fatte sulla capacità della rete? Il nucleare potrebbe “prendersi” della capacità che altrimenti potrebbe essere usata per le rinnovabilI?

La rete va rinforzata comunque, perché la domanda di elettricità crescerà molto. La generazione distribuita, quella fatta con le rinnovabili, richiede una rete strutturata in modo diverso rispetto alla attuale, Se il nucleare possa prendersi della capacità di trasporto a danno delle rinnovabili, non saprei.

Possibile pensare che, invece, il nucleare possa diminuire il consumo di gas, attraverso la produzione di idrogeno, e quindi creare un mercato funzionante dell’idrogeno a basse emissioni, in un certo senso poi sostenendo lo sviluppo dell’idrogeno verde?

Impiegare il nucleare per produrre idrogeno è certamente più conveniente dal punto di vista economico che metterlo a servizio della rete per compensare la non programmabilità delle rinnovabili. Il problema è il costo dell’idrogeno prodotto, che sarebbe più alto di quello prodotto col gas. C’è da domandarsi, però, perché mai bisognerebbe produrre idrogeno con l’elettricità fornita da un reattore nucleare invece che da impianti fotovoltaici, dato che già oggi il kWh prodotto col fotovoltaico nel sud Italia è più economico di quello prodotto col nucleare?

Altre considerazioni sul rapporto tra fotovoltaico e nucleare?

A parte i costi e i possibili pericoli del nucleare, specie in caso di guerra, come quella in Ucraina ci ha mostrato, c’è il problema della sicurezza energetica, messa a dura prova dalla nostra dipendenza dal gas russo, La sicurezza dipende dal grado di indipendenza per quanto riguarda le fonti di approvvigionamento. Col nucleare dovremo sempre dipendere da qualcuno per il combustibile. Ancora oggi, malgrado la guerra in Ucraina e in barba all’embargo sulla Russia, Francia, USA, e non solo, comprano dalla russa Rosatom parte del combustibile per le loro centrali. Anche se decidessimo di svenarci per produrre noi stessi il combustibile, dovremmo importare l’uranio, e solo il 25% di quello disponibile viene da paesi affidabili, che se lo tengono ben stretto. Il resto viene, per il 45% dal Kazakistan, altro dalla Namibia, dal Niger e altri paesi ben poco affidabili. Quindi col nucleare siamo sempre nelle mani di qualcuno, mentre il sole splende e il vento spira in Italia, e nessuno ce li può levare, né fare pagare.

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