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Cave e miniere non recuperate o abbandonate sono state inserite tra i siti delle aree idonee per l’installazione di impianti fotovoltaici. pv magazine Italia ne ha parlato con Francesco Castagna, direttore di Anepla, che rappresenta il settore dei produttori estrattori lapidei ed affini, e Tiziano Mestriner, vicepresidente di Assorisorse – Risorse Naturali ed Energie sostenibili, associazione di Confindustria che deriva da Assomineraria – Associazione Mineraria Italiana.
“Il fotovoltaico è un’opportunità immediata per le cave dismesse. Bisogna velocizzare gli iter burocratici per l’installazione di impianti fotovoltaici che porterebbero ad un’accelerazione delle strategie di decarbonizzazione dei settori cosiddetti ‘hard to abate’ come quello del cemento”. È questo l’appello lanciato a fine 2023 alle istituzioni da parte di Federbeton, federazione che riunisce i produttori di cemento e calcestruzzo, e Anepla.
Anche Assorisorse è favorevole, lo racconta il suo Vicepresidente, Tiziano Mestriner: “Installare impianti fotovoltaici nei siti cave e miniere non recuperate o abbandonate è una soluzione intelligente che utilizza al meglio spazi ed aree sfruttate in passato, riqualificandole in ottica di sostenibilità ambientale ed energetica ed evitando l’utilizzo di aree vergini. È una delle migliori soluzioni per il fine vita di una coltivazione mineraria, rispettando la vocazione “di risorsa” del sito di origine e traducendolo in termini di sostenibilità energetica”.
Nonostante la conversione in legge del cosiddetto DL Ucraina del 21 marzo 2022 abbia introdotto un iter semplificato per installare impianti fotovoltaici nelle cave, la burocrazia continua a fare da collo di bottiglia. “Delle 814 istanze protocollate relative alle sole iniziative fotovoltaiche, solo il 2,7% sono state concluse in via definitiva; l’1,7 % è in fase conclusiva di predisposizione del provvedimento e il 76% è bloccato in fase di istruttoria tecnica per analisi di contenuti”, hanno spiegato i rappresentanti di Anepla e Federbeton.
Queste due realtà sono state promotrici della modifica alla legislazione vigente con una proposta di emendamento, che ha trovato spazio nel Decreto-legge del 24 febbraio 2023. A pagina 30 viene indicato che “l’installazione, con qualunque modalità, di impianti fotovoltaici su terra e delle relative opere connesse e infrastrutture necessarie, ubicati nelle zone e nelle aree a destinazione industriale, artigianale e commerciale, nonché in discariche o lotti di discarica chiusi e ripristinati ovvero in cave o lotti o porzioni di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento, è considerata attività di manutenzione ordinaria e non è subordinata all’acquisizione, permessi, autorizzazioni o atti di assenso comunque denominati”.

Non esistono cave abbandonate o non recuperate
Secondo il direttore di Anepla, Francesco Castagna, lo sviluppo del solare non dovrebbe essere confinato alle cave non recuperate o abbandonate. “È sbagliato parlare delle sole cave e miniere abbandonate: è superato dal punto di vista normativo e invece di incoraggiare lo sviluppo del fotovoltaico, ne costituirebbe un grossissimo limite”, ha dichiarato a pv magazine Italia. Dagli anni ‘80 in poi, infatti, l’esercizio della coltivazione di cava è sottoposto ad autorizzazione, condizionata al recupero finale dell’area garantito da fidejussione. Quindi, a partire da quel tempo, non esistono “cave abbandonate o non recuperate”.
Se ne può parlare, invece, solo per le cave esaurite prima della tornata legislativa dei primi anni ’80, ma quelle aree purtroppo si prestano al fotovoltaico meno di quanto si possa immaginare per diverse ragioni, tra cui la rinaturazione spontanea, la trasformazione urbanistica e paesaggistica sopravvenuta, per collocazione marginale, per limitata superficie, assenza di collegamenti alla rete elettrica in alta e media tensione e vicende proprietarie.
Secondo Castagna, ben diverso è il discorso per le cave attive, dove ha un senso anche l’autoproduzione e dove spesso esistono invece già cabine di allaccio. “Il nostro settore crede fortemente nel fotovoltaico e sta facendo la propria parte con l’installazione di impianti tradizionali a terra, con impianti galleggianti per le cave in falda e con l’agrivoltaico, sia con impianti di taglia media e piccola destinati all’autoconsumo, che con impianti di taglia più importante, fino a 30 MW, destinati alla fornitura in rete di energia”, ha aggiunto. “Il settore è pronto anche a far di più, ma ha bisogno di regole più certe, di un approccio da parte del Decisore pubblico un po’ più coraggioso ed improntato a maggiore concretezza e reale conoscenza delle caratteristiche del settore, andando oltre le facili, ma improduttive, suggestioni legate alle cave abbandonate”.
Il progetto socio-agrivoltaico
Castagna spiega che, al fine di aiutare il percorso delle imprese di cava che intendano cogliere le opportunità di produrre energia rinnovabile e di valorizzare aree marginali ed altrimenti improduttive, è nato un protocollo di intesa con Anie Rinnovabili, Coldiretti e Consorzio Cascina Clarabella, una cooperativa sociale che promuove il reinserimento sociale e lavorativo di persone svantaggiate. L’obiettivo è la rivalorizzazione delle cave esaurite o di cave attive non più produttive in parchi agrivoltaici, per coniugare la produzione di energia fotovoltaica con le coltivazioni agricole.
“Anepla valuta le aree idonee alla riconversione e, una volta individuate, Anie Rinnovabili si occupa della progettazione, selezionando le tecnologie più innovative per la realizzazione degli impianti fotovoltaici, senza compromettere l’utilizzo agricolo dei terreni”, ha dichiarato Castagna. “Coldiretti e Cascina Clarabella individuano i progetti sociali di agricoltura e allevamento da destinare sui terreni”.

Luci e ombre
Anepla ha diversi soci che sono impegnati nell’installazione di impianti fotovoltaici in aree di cava e che hanno felicemente concluso il proprio percorso. “Non mancano però delle ombre: un nostro socio, per esempio, sta aspettando da anni l’allacciamento alla rete e tutta la produzione elettrica va totalmente sprecata. Altri lamentano che le valutazioni legate all’eventuale approvazione di un impianto fotovoltaico finiscano per ‘incrociare’ l’iter autorizzativo dell’attività di cava, già di per sé assai complicato, generando ulteriori lungaggini. Nei casi poi di impianti di grandi superfici, oltre 20 MW, il passaggio delle competenze alla valutazione di impatto ambientale (VIA) nazionale si è rivelato disastroso”, ha spiegato il direttore dell’associazione.
Un esempio virtuoso raccontato da Mestriner di Assorisorse è quello relativo a Maffei Sarda Silicati, controllata di Minerali Industriali, che, attraverso un bando PNRR per il riutilizzo delle aree industriali dismesse, sta realizzando un parco fotovoltaico di 1.5MWp con un’alta percentuale di produzione verde da reimpiegare in parte nei processi produttivi e in minima parte per altri usi esterni. In questo caso specifico, le problematiche di autorizzazione sono state mitigate grazie alla struttura stessa del bando PNRR e alla relativa iter burocratico di approvazione”.
In attesa che le regioni si dotino di una regolamentazione per la definizione delle aree idonee, esistono tuttora molte difficoltà per chi vuole investire nel fotovoltaico, legate alle diverse e discordanti interpretazioni delle attuali normative nazionali da parte delle ARPA, le Agenzie Regionali per la Protezione Regionale. “La durata della procedura di VIA nazionale è assolutamente non conforme alla vigente normativa”, ha aggiunto Castagna. “Sono noti casi di VIA per un impianto fotovoltaico flottante che si trascinano da oltre 36 mesi”.
“Purtroppo, la carenza di parte strutturale intesa come reti, cabine cioè strumenti per recepire e gestire l’energia prodotta rende questi processi estremamente lunghi in termini temporali con il rischio quindi di vedere abbandonare gli stessi progetti per limiti di tempo e la parte burocratica ed autorizzativa non facilita di certo il veloce avvio”, ha dichiarato Mestriner.
Il vicepresidente di Assorisorse ha aggiunto: “L’installazione di impianti fotovoltaici in queste aree dovrebbe seguire un chiaro percorso delle pratiche autorizzative, attraverso un miglior coordinamento dei vari enti chiamati a rilasciare il nullaosta. Serve maggior organizzazione e capillarità delle reti e delle infrastrutture da parte del sistema italiano”.
Secondo Anepla, sarebbe fondamentale strutturare la commissione VIA nazionale con un numero di membri sufficienti ad evadere le pratiche nei tempi previsti di 120 giorni e scollegare la VIA nazionale dei PAUR, i Provvedimenti Autorizzatori Unici Regionali. “Oggi non solo si scontano tempi lunghissimi per il completamento dell’iter della VIA nazionale ma, una volta ottenuta, parte un’ulteriore procedura di PAUR ordinario. L’espletamento della procedura di VIA nazionale dovrebbe portare come conseguenza almeno ad un successivo iter autorizzativo semplificato”, ha detto Castagna. “Inoltre, c’è una mancanza di infrastrutture di vettoriamento: ai tempi autorizzativi dilatati si aggiungono tempi di connessione sempre più lunghi, fino a raggiungere i 6 anni. Si dovrebbe procedere velocemente ad un’idonea infrastrutturazione della rete, incentivando la possibilità di permettere ai privati la realizzazione delle cabine primarie”.
L’associazione, inoltre, raccomanda di tenere separata la procedura per l’installazione di un impianto fotovoltaico dall’iter per l’autorizzazione di cava e di seguire la linea di indirizzo tracciata dal legislatore nazionale, che ha indicato le aree di cava come aree idonee all’installazione del fotovoltaico. “Invece, a livello regionale riscontriamo il persistere della tendenza a porre dei limiti alla classificazione delle cave come aree idonee all’installazione di impianti fotovoltaici, nel timore che un approccio troppo liberista possa compromettere altre istanze, legate all’agricoltura o alla tutela del paesaggio. Ci rendiamo perfettamente conto della difficoltà per chi ci amministra di bilanciare il tutto, ma in tema di fotovoltaico nelle aree di cava è più facile trovare il giusto equilibrio o il minor sacrificio di altre istanze concorrenti. Del resto, la cava, oltre all’ipotesi dell’autoconsumo, può permettere la realizzazione di grandi impianti senza occupazione di suolo funzionale”, ha concluso Castagna.
Il caso della cava bergamasca
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