Dopo quasi 20 anni di esperienza professionale nelle energie rinnovabili ho capito due cose: innanzituttoche la nostra vita, come il nostro lavoro, è per l’eternità e non potrei riuscire aa resistere ai ritmi frenetici della famiglia e di un lavoro nella transizione energetica, se non pensassi che anche io appartengo al futuro con il mio lavoro di oggi; in secondo luogo, che la transizione energetica è donna.
Nel ringraziare pv magazine e the Wire Club per questo spazio, ne approfitto per condividere una riflessione sul business del secolo, tenere in vita il pianeta, e sul potenziale lavorativo di un settore che, tanto ha bisogno di pink energy (certo non di pinkwashing).
Mi è sempre piaciuta la matematica ma non sono stata sostenuta nella scelta di un percorso di studi ingegneristico. Sono approdata nel settore delle energie rinnovabili giovanissima, per osmosi, iniziando come analyst ancora studente, in un settore affascinante, ma dai trascorsi altalenanti tra entusiasmi e baratri recessivi, proprio grazie ai miei figli Ho imparato a darmi piccoli obiettivi e target raggiungibili nel breve periodo, tenendo insieme cura e creatività, senso del limite ed ambizioni, così come l’importanza delle relazioni.
Si è già scritto abbondantemente sul tema della giustizia ambientale, cioè sul ruolo svolto dalle politiche ambientali nel superamento delle ingiustizie di genere, ma non ancora abbastanza sul potenziale del lavoro femminile nel settore della transizione energetica. Mi sembra naturale il parallelismo tra il rispetto del pianeta, cioè l’etica della sostenibilità economica, sociale e ambientale, e la cura del nucleo famigliare. Io la vedo così: essere Transition Maker vuol dire ricoprire un ruolo da Caregiver.
La transizione energetica consiste nel passaggio da una cultura del dominio e dello sfruttamento a una cultura della cura, della conservazione e del riuso. Più specificamente, la transizione riguarda le fonti di energia (da fossile a rinnovabile) e l’uso dell’energia (da più potenza a più efficienza). Ne deriva che l’uso efficiente e sostenibile delle fonti energetiche non può essere limitato allo sfruttamento quanto, piuttosto, declinato in termini di conservazione e circolarità.
L’etica della sostenibilità si accompagna bene con la coscienza del limite: non si può sfruttare tutto per sempre L’educazione a questo limite, nella mia personale esperienza, è maturata con il progredire della carriera e con l’evolvere di scelte personali e affettive con quelle professionali. Focalizzare e raggiungere un obiettivo, uno dopo l’altro, quando possibile e con le risorse a disposizione, imparando ad azionare le leve del freno e dell’acceleratore secondo i miei bisogni e desiderata, senza adattarmi a un programma pensato da altri in altri contesti.
Quanta energia rosa c’è o ci può essere nella transizione verde? È una riflessione che nasce dal mio lavoro di oggi, l’Originator. Nei business title, nelle descrizioni che troviamo su Linkedin, negli annunci di lavoro, si definisce Originator chi deve trovare un terreno o un’opportunità per sviluppare un nuovo progetto. Nei processi chimico-industriali si chiamerebbe “Ricerca&Sviluppo”, mentre nel contesto famigliare equivarrebbe a dedicarsi alla gestione dei primi fragilissimi momenti.
Per concludere: nella transizione energetica c’è un enorme potenziale lavorativo per tutte le lavoratrici e i lavoratori che sentano il bisogno di contribuire in modo esplicito a prendersi cura del pianeta e della crescita dell’umanità nel suo crescente fabbisogno energetico. Si può essere ingegneri e tecnici o manager d’azienda anche per e con rispetto degli altri, dei carichi e dello scopo ultimo del lavoro. Ma questa spinta potenziale si innesta in un settore energetico, ancora oggi, radicato in un modo di pensare il lavoro e le scelte di investimento basate sui criteri di massimo sfruttamento e di massimizzazione del risultato.
I KPI aziendali e di redditività possono non essere i migliori ispiratori di un progetto di cura. Per la realizzazione di un progetto che rispetti i bisogni di una comunità locale e di tutti gli stakeholder coinvolti in un nuovo impianto solare o eolico ci vogliono tempo, attenzione, sensibilità. E allora come si fa se non lavoriamo nel non profit, ma in aziende che investono per un giusto profitto? Attivando la leva della diversità e vedendo nell’approccio femminile al mondo del lavoro una coerenza profonda tra valori, etica e professione specifica, che nel mondo delle rinnovabili vuol dire portare la coscienza del limite e della circolarità in un settore produttivo ancora prevalentemente maschile a livello direttivo e dirigenziale.
Dunque porte aperte e un caloroso benvenuto nella transizione energetica a tutte le energie di cura, di sostegno, di sviluppo, con coscienza e limite per una transizione che non sia solo green, né pink, ma arcobaleno, sia nel senso della bellezza di un coro fatto da voci diverse, ma anche nel senso che faccia risplendere tutta la bellezza del sole.
41 anni e quasi 20 anni di esperienza nelle rinnovabili in Italia, laureata in Economia alla Bocconi di Milano, appassionata di sviluppo, strategia e sostenibilità. Cristina si è sempre occupata di sviluppo di business per le energie rinnovabili, iniziando nel 2004 nello strutturare nuovi modelli di investimento nel nascente settore delle rinnovabili e dei crediti ambientali, poi passando allo sviluppo greenfield di impianti idroelettrici, eolici e fotovoltaici, codevelopment e joint venture in Italia e nell’Est Europa, M&A di asset in esercizio buy-side e sell-side, ed infine PPA Long Term a supporto del corporate development ed energy transition. Oggi Cristina si occupa di originare nuove opportunità di sviluppo e investimento nelle rinnovabili a supporto della strategia di transizione energetica di Engie e dei suoi clienti. Nel tempo libero, e non solo, Cristina si dedica ai tre figli, ama cucinare dolci e impegnarsi nel sociale.
Il primo articolo di The Wire Club è disponibile al link.
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